mercoledì 16 ottobre 2013

LADRO DI RAZZA recensione

Teatro Ghione a Roma dal 15 al 27 ottobre 2013
Mind Production e Simone Giacomini
Presentano

LADRO DI RAZZA
di Gianni Clementi
con
MASSIMO DAPPORTO    SUSANNA MARCOMENI    BLAS ROCA REY

regia MARCO MATTOLINI


Ladro di razza
Roma 1943. Un modesto ladro e truffatore, Tito, abituato a inventarsi la vita, esce dal carcere, dopo aver scontato l'ennesima pena. Non può tornare a casa dei suoi, perchè sulle sue tracce c'è un usuraio, noto per la sua crudeltà. Decide quindi di rifugiarsi nella catapecchia di Oreste, suo amico d'infanzia, che lavora come operaio nelle fornaci di Valle Aurelia. Tito deve assolutamente trovare al più presto dei soldi, per placare l'ira del "cravattaro". Conosce casualmente una ricca zitella ebrea, Rachele, che vive da sola in un appartamento lussuoso del ghetto. Sarà lei la sua vittima. Tito la corteggia e, dopo un'estenuante resistenza della donna, riesce finalmente ad entrare nelle sue grazie. Ormai è di casa e pronto per il furto, in cui coinvolge anche l'amico fornaciaro. E’ l'alba del 16 ottobre 1943, il momento del rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma da parte dei nazisti. In questa storia, mai il detto "Al posto sbagliato nel momento sbagliato" fu più puntuale. Ma il piccolo uomo Tito, opportunista e vigliacco, catapultato di colpo in un episodio storico dirompente, scoprirà in sè un inaspettato coraggio che gli consentirà un grande riscatto. 


Ladro di razza, è uno spettacolo che pur essendo ambientato nel 1943, pone la luce  dei comportamenti tipici di umani, come lo scollamento di alcuni di noi con la realtà contigente, Tito (Massimo Dapporto), modesto ladruncolo, non si rende conto di cosa gli sta succedendo intorno, lui pensa a fare "il biscotto" a chiunque gli capiti a tiro, vorrebbe provare a farlo persino ai tedeschi. Non si è quasi reso conto che si è in guerra, lui continua la sua strada personale, fino ad imbattersi in Rachele (Susanna Marcomeni), che sembra essere la svolta della sua vita..la gallina dalle uova d'oro, quella da spennare completamente, ma piano piano con savoir faire. La storia però, quella con la S maiuscola è dietro l'angolo e travolge tutti, finanche quelli che l'avevano snobbata seppur per noncuranza. Tito piano piano riuscirà a entrare nelle grazie di Rachele, ma intorno alla metà dell'ottobre 1943 alla vigilia del rastrellamento da parte della gestapo, a quel punto Tito avrà la sua rivalsa da pupazzo diventerà uomo.Lo spettacolo è molto bello, ben scritto in una lingua propriamente romana e ben recitato da tutti e tre gli interpreti. Massimo Dapporto è bravissimo si cala nei panni di questo ometto costretto suo malgrado dalla Storia a riscattare la sua esistenza fatta di piccole meschinerie, e lo fa usando delle espressioni, dei toni di voce assolutamente credibili...cosa dire oltre che bravissimo.
Miriam Comito

Note di regia
“E’ importante mettere in scena questo testo con un allestimento e un cast totalmente nuovi a tre anni di distanza dalla sua breve uscita sulla scena romana, perché riferendosi ad un momento ormai lontano ci fa riflettere sul presente più attuale, sull’estraneità delle persone rispetto ai grandi fatti della storia e della politica, sulla profonda incidenza dell’incertezza economica e sociale sulle scelte morali delle persone, sull’eterno confronto fra l’adeguarsi allo status quo, alla situazione dominante per quanto sinistra e inaccettabile si percepisca e la tentazione/coraggio di ribellarsi. Un certo clima  del testo che si immerge nell’immaginario del neorealismo cinematografico italiano del dopoguerra fa da prisma per sottolineare il valore emblematico della vicenda e la sua attualità.  Scene e costumi citeranno quindi quel mondo evidenziandone affettuosamente l’appartenenza ad un immaginario collettivo che è divenuto proprio di tante generazioni successive, fino alle più recenti.  La musica costruita alla “manière  de”  i grandi temi di commento del cinema di quegli anni e della cultura popolare delle canzonette dell’epoca, sottolineerà l’impostazione antinaturalista nel senso più profondo e non elitario del termine.  Il cast che mette insieme per la prima volta attori di provenienza diversa, ma tutti romani non solo in termini anagrafici, li fa cimentare con la bella lingua popolare romana (e non romanesca, per carità!) reinventata da Clementi, con la capacità, la leggerezza, la profondità che gli ha fatto conquistare in pochi anni palcoscenici e pubblici molto lontani da quelli della capitale, in Italia e all’estero”.                   
                                                                                                                                                                                                                                   Marco Mattolini

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