giovedì 28 marzo 2013

SOLO ANDATA intervista all'autrice ANNALISA DE SIMONE.


SOLO ANDATA
Un romanzo di tracolli e di speranze,
dove c’è spazio per l’amore, la perversione e il disincanto.




A Parigi, Edo incontra la propria ossessione. Si chiama Anne. Fa la gallerista, ha gli occhi viola e il suo corpo sillaba la parola bellezza in ogni tratto. La dipendenza da lei, e dalla vita sregolata che conduce, lo paralizza per dieci lunghi anni. Dopo varie cadute, trova la forza di lasciarla, lo fa «con quel coraggio che, in fondo, è solo disperazione». Si sposa con una donna mansueta, Camille, ha un figlio, scrive un romanzo che diventa un bestseller, subisce la carenza, inganna il tempo. Ma Anne busserà di nuovo alla vita di Edo, costringendolo a fare i conti con il passato. La tensione cresce, fino a quando gli eventi non precipitano.

Annalisa De Simone nasce a L’Aquila, ventinove anni fa. Inizia la sua carriera artistica come coreografa. Da attrice si divide fra teatro e tv. Vive a Roma, dove si è laureata in Scienze Umanistiche. Ama Parigi d’inverno. Sola andata è il suo primo romanzo.

 Dopo aver assistito alla presentazione presso Fandango Incontro del romanzo "Solo Andata" opera prima di Annalisa De Simone, e aver letto il suo libro, cosa a cui sono stata invogliata dalle parole usate dall'autrice nella presentazione, mi sono trovata davanti ad un romanzo scorrevole, che porta il lettore a seguire le vicende dei personaggi,  a voler sapere di più di loro, a cercare di capire il perchè delle loro azioni, delle loro decisioni, o delle inette indecisioni, per non parlare delle splendide protagoniste non umane: Roma e Parigi, sapientemente descritte dalla De Simone.
Non mi sono fermata, alla lettura e ho voluto conoscere Annalisa,ecco cosa è uscito fuori dalla nostra chiacchierata
M. Come hai scelto le professioni dei personaggi.

A. Le scelte dei luoghi, dei nomi dei personaggi e delle loro professioni sono state fatte tutte sull’onda dell’istinto. Non c'è stata una visione programmatica iniziale in base alla quale un personaggio doveva fare un lavoro specifico perché funzionale al racconto. Man mano che prendevano forma, che si definivano i colori, io ero in grado di inquadrare i dettagli. Sono stati i personaggi a guidarmi, quasi come fosse nato prima il personaggio e poi la mia intuizione di lui.

M. Il protagonista maschile, si chiama Edoardo Orsini e la prima moglie di suo padre Marisa Colonna. Famiglie che qui a Roma si sono fronteggiate per lungo tempo soprattutto durante il Medioevo, non pensi che forse, anche se la scrittura è stata istintuale, c'era comunque un background inconsapevole che tu avevi e che poi è uscito fuori.

A. Non so, Marisa Colonna è appartenente ad un'aristocrazia romana che ho descritto di sbieco, perché è un personaggio corollario rispetto ai principali, ma volevo avesse quel sapore lì, di una aristocrazia decaduta. E’ una donna ferita non tanto dalla perdita del marito e dal divorzio, ma dalla perdita di status che la pone in imbarazzo davanti alla società a cui fa riferimento.

M. Io ho visto una contrapposizione tra a caducità umana di tutti i personaggi del tuo romanzo "SOLO ANDATA"  e la stabilità delle due città: Roma e Parigi che descrivi ampiamente e con cura dei dettagli, è una cosa voluta?

A. La caducità dei personaggi che racconto, il loro disorientamento è, in effetti, in contrasto con la stabilità dei luoghi. Se dovessi tornare a descrivere le cornici in cui ho incastonato la storia probabilmente queste cornici sarebbero anch’esse precarie. Sono nata all’Aquila e dopo la tragedia del terremoto sento che anche i muri, i luoghi e gli spazi non godono di una condizione di stabilità permanente. Per quanto riguarda i personaggi che metto in piedi, sì, sono accumunati da un elemento di sofferenza e spesso di frustrazione. Edo è un uomo apatico che vive di carenze, Camille si sforza ad essere indifferente nei confronti di un sentimento sbiadito che le sbatte in faccia, ogni giorno, le difficoltà di sentirsi poco amata. Anne graffia per non urlare. Tuttavia nel finale, che è pur amaro, la cupezza viene stemperato dalla luce che si riflette sui mattoncini rossi, oltre la finestra. In qualche modo credo ci sia sempre una luce, magari non rassicurante come un faro, ma anche uno spiraglio può bastare per ripartire. Houellebecq nel suo esordio "L'estensione del dominio della lotta" parla dell’uomo come “un adolescente minorato”. Credo che ogni adulto abbia a che fare con la sua sacca di stoltezza, sofferenza e di noia, non si può scampare. Chi è sempre euforico o è particolarmente geniale o semplicemente stupido. Ma tutto sta nell’abituarsi a queste condizioni, senza farla troppo tragica.

M. A proposito di sofferenza i personaggi di Edo e di Daphne, che a mio avviso sono quelli a cui ci si affeziona di più, soffrono entrambi per ragioni diverse e, nel farlo , si isolano dagli altri.

A C'è una contrapposizione fra di loro, hanno si una condizione di solitudine interiore che li accomuna, ma credo che siano le differenze a delinearli. Edo è proiettato verso il suo passato irrisolto che però torna ad essere presente: la sua ossessione per Anne. Vive questa dipendenza carnale come un assillo, l’attrazione verso Anne è imprescindibile e non lo lascia in pace, gli toglie ogni spazio decisionale e lo immerge nell’indolenza. Daphne, al contrario, è tutta proiettata verso il futuro, verso la donna che sarà. Entrambi hanno poco contatto con il mondo esterno, sono autistici ed egoriferiti. Edo pensa a sé e trascura gli affetti che, per parvenza di equilibrio, si è costruito attorno. Daphne si concentra solo sulla sua carriera. Sebbene siano rivolti uno al passato e l’altra al domani, finiscono per essere entrambi goffi, contraddittori e credo, proprio per queste incapacità, teneri.

M. Restando su Edo e Daphne, entrambi vengono richiamati da un "Altrove", è un richiamo forte che si sente profondamente e che colpisce.

A. Qui c’è Annalisa che cade nelle pagine. Sono vittima di un eco continuo verso un altrove non ben identificato. Subisco l’insoddisfazione come il mio Edo, ma sono venuta a un compromesso con la mia ansia di trovare un’armonia. La vena di malinconia fa parte della sensibilità umana, può avere varie carature di profondità, ma penso sia appartenente a tutti, il fatto è che a volte ci si vergogna di confessarla. Questa frustrazione ci porta a vagheggiare un altrove dove probabilmente le cose andrebbero meglio. Il problema è che ogni volta che lo si raggiunge ci si rende conto che gli elementi in comune con quello che c'era prima sono molto forti. Nel film di Woody Allen "Midnight in Paris", che a mio parere non è uno dei suoi film più riusciti, si mette in scena proprio questa beffa. Pensare che in passato si stesse meglio, che oltre i confini del presente si possano trovare gli anni d’oro è un luogo comune che serve a costruire l’apparenza di una fuga. Ma sempre di un’apparenza trattasi.

M. Cosa rappresenta per Edo la scrittura?

A. L’apatia di Edo si riflette anche nel suo mestiere di scrittore, non ci sono ambizioni in lui. C’è solo la voglia di fare chiarezza,  di recuperare il passato e metterlo in forma scritta. Ciò che lo porta a scrivere è, inoltre, la voglia di trovarsi un alibi per potersi chiudere nel proprio studio. Edo desidera una tana per fuggire dalla moglie, e l’alibi della scrittura è un buon compromesso. Il caso letterario che lo vede coinvolto sembra quasi uno scherzo del destino, chissà se al secondo tentativo saprà arrivare al pubblico come col primo libro, non lo sapremo mai.

M. Cosa mi dici del titolo "SOLO ANDATA"

A. Il titolo è legato al concetto di entropia. Sono affascinata dal fatto che anche il disordine abbia una sua unità di misura, appunto l’entropia. Ma come? Il disordine non è qualcosa di indistricabile e non quantificabile? In pratica no. L’entropia descrive i fenomeni irreversibili della natura. Si procede con un solo senso di marcia, se si vuole tornare indietro vanno aggiunte forze ulteriori che ci riportino al punto di partenza. Concetto applicabile a tanti contesti della nostra esistenza. Prenda un tradimento: è vero, si può ridefinire la situazione iniziale perdonando o essendo perdonati, il problema è che lo si fa con un impiego di forze (liti,  messe in discussione, rancori, dolore) che ci cambiano. Eccoci di nuovo  al punto A, ma ci arriviamo con un bagaglio di energie aggiuntive che , nel frattempo, hanno creato disordine.

M. Quando il padre di Anne la porta, ancora bambina, al Louvre si soffermano in particolare su "La morte della vergine" di Caravaggio, dove il Merisi dipinse una donna morta gonfia nel Tevere, cosa ti ha portato a scegliere quel dipinto?

A. Caravaggio raffigura una donna che non ha dignità nella morte, è un quadro estremamente realista, e  per l'epoca scandaloso. Questo coraggio di descrivere l’osceno mi piace, mi  ci ritrovo parecchio. Descrivere la bruttezza della morte e dell'umanità è compito di qualsiasi espressione artistica, è anche il suo lato divertente forse.
 Miriam Comito

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